Valeria Acquarone, già autrice di "Immaginario familiare" e "Le gabbie", ha presentato il suo ultimo lavoro nella Sala Consiliare del castello di Binasco!
Arrivo tranquillamente in piazza, ma salendo in Castello aumenta il chiacchiericcio: la Sala Consiliare è gremita di persone, e c'è una signora che va di qua e di là per salutare i presenti: è la scrittrice Valeria Acquarone, che tra pochi minuti presenterà il suo nuovo romanzo "Diritto d'asilo"!
Milanese di nascita, pur vivendo in città ha sempre abitato in periferia, ai margini della frenetica metropoli, ad un passo dalla silenziosa campagna. Si trasferirà poi a Binasco spinta dal desiderio "di coltivare rose e pomodori", come scrive lei stessa nel libro, per godere maggiormente la campagna e la natura: attiva partecipe della vita culturale del paese, è stata insegnante di lettere alle Scuole Medie, ed attualmente scrive poesie collaborando con diverse riviste e vincendo vari premi. Nonostante abbia dovuto trasferirsi ancora a Milano è spesso in paese, per coltivare i molti legami che lasciato qui.
Un momento della presentazione
Il suo ultimo lavoro, "Diritto d'asilo", ha partecipato al Salone del Libro di Torino: è un romanzo intrigante, in cui il lettore è accompagnato ad indagare tra i fantasmi della protagonista, scavando nei dolorosi ricordi di questa donna forte e tormentata. Binasco viene richiamata spesso nel corso degli eventi: ”la torretta con la campana in Largo Loriga mi ha sempre affascinato, la vedo e si accende la fantasia, l’ho portata nel mio romanzo come elemento distintivo della casa di una di delle protagoniste. Altro binaschino è il gatto rosso che stava nella mia via, un gatto particolare che trasporto nel racconto assieme alla vita di paese, diversa da quella di città: chiacchere, informazioni, notizie che girano, anche pettegolezzi; una vita quotidiana con vene di pettegolezzo ma anche tanta umanità e desiderio di aiutare gli altri”.
La sopracitata torretta con la campana
“Diritto d’asilo” nasce dai racconti e dalle storie che Valeria ha assorbito nel corso degli anni: “Io ascolto e ricordo: mi raccontano storie interessanti e le appunto su un quadernetto, nei romanzi queste si intrecciano tra di loro e la fantasia serve ad unirle rendendole un racconto unitario”.
Alcuni personaggi sono dei ritratti di individui realmente esistenti: “La Veronica del racconti è qui con noi; si chiama Mara ed è la mia vicina di lettino al mare, chiacchieriamo molto e negli anni coi suoi racconti si è delineata la figura di una donna con attitudini particolari, su cui ho creato appunto il personaggio di Veronica”
Alla fine del libro c’è un ringraziamento ad Angela, la tabaccaia che con i suoi ricordi ha dato vita ad uno dei personaggi chiave del racconto, Zia Luisina: “la Zia è una binaschina, la sua è una storia vera trasposta identica a come mi è stata raccontata"
Questa figura è portatrice, nel racconto come nella realtà, di un “segno”, una capacità soprannaturale tipica della cultura popolare e del mistero: tema caro all’autrice è quello del sovrannaturale, grazie al “segno” i protagonisti dapprima sconosciuti si legano, scoprendosi molto simili.
Annabella Fadin legge un passaggio del romanzo
L’altro nucleo tematico non indifferente è quello della storia e della memoria: tutta la vicenda si basa su un evento di secoli fa che riaffiora lentamente, che fa capolino da subito grazie a due monete, a loro volta al centro dell’indagine su una serie di fatti più recenti che segnano l’infanzia di un personaggio, il quale ormai adulto è alla ricerca della verità.
Una sovrapposizione di piani temporali, un continuo intreccio che l’autrice commenta così: “Guardo con interesse a cosa viene prima di me, ho la passione di raccogliere e conservare le cose delle generazioni precedenti: è un dovere verso chi ci precede, una continuità che non voglio spezzare; oggi siamo così grazie a chi è venuto prima; ed il passato non è tutto bello, anzi...”
L'autrice risponde ad una domanda
Un'altra caratteristica del romanzo è il dialetto, che ogni tanto compare: “Adoro i dialetti, tutti: i miei genitori parlavano il milanese tra di loro, io l’ho interiorizzato ma non l’ho mai usato; è solo da una decina d’anni che è riemerso, non so perché! Sono lingue che contengono espressioni colorite, che l’italiano non ha, mi sembra di potermi esprimere più autenticamente parlando in dialetto… è una lingua che rimanda all’infanzia, quando lo uso mi tornano alla mente i miei genitori, le zie, i vicini di casa…”
Il sottoscritto, in tenuta da reporter, con la copia autografata del libro
Che aggiungere ancora?
Personalmente l’ho letto tutto d’un fiato, l’intrigo dietro quei marenghi d’oro tiene incollati fino all’ultima riga; inoltre mi ha folgorato un personaggio in particolare, perché al suo posto avrei agito esattamente come lui: chi mi conosce se ne accorgerà subito, il trasporto con cui questa figura parla della sua passione è identico a quello con cui io parlo delle medesime cose, tediando quegli amici che per loro sfortuna mi hanno fatto una domanda di Storia...
Un libro consigliatissimo, ma così tanto che vi lascio qui il link per acquistarlo!
Buona lettura!
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